Cena soci 2021

Venerdì 10 settembre i soci della Giovanni XXIII si sono ritrovati per celebrare i 110 anni della nostra scuola.
Riportiamo le parole introduttive del comitato organizzatore ed il discorso del presidente.

Attività
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Introduzione del comitato organizzatore

Salve a tutti,
la ragione per cui siamo qui è che, nell’istituire un piccolo comitato per i 110 anni della Giovanni XXIII, ci siamo chiesti cosa ci interessasse festeggiare: la lunga storia di questa scuola non dice solo di un’istituzione grande ed importante, ma anche -e soprattutto- di un movimento di popolo; quel popolo si esplicita in tante forme, e stasera in particolare ci piace richiamare ciascuno di noi ad un senso di appartenenza per la scuola; vogliamo anche guardare insieme all’opportunità che ognuno dei presenti ha, come socio, secondo la propria indole, di contribuire alla crescita di questo luogo nella coscienza del valore che porta come bene comune per tutto il territorio.

Discorso del presidente

Ringrazio il Comitato per i festeggiamenti dei 110 anni della nostra scuola del lavoro sin qui svolto e di aver organizzato questo evento.

Do anch’io il benvenuto ai Soci, al Sig. Parroco, al Sindaco ed agli assessori presenti questa sera.

Penso che la celebrazione di una ricorrenza come i 110 anni di un’Opera Civica qual è la Giovanni XXIII, più che un momento per celebrare il ricordo di un glorioso passato, debba essere l’occasione per una riflessione sul suo ruolo nell’attuale contesto sociale e per capire come affrontare il futuro prossimo.

Nell’impossibilità, per l’attuale contesto pandemico, di organizzare una “grande festa di popolo”, la proposta avanzata dal Comitato di aprire i festeggiamenti di questo anniversario con una “Serata Soci” è stata a mio avviso quanto mai opportuna, perché ritengo sia innanzitutto questo l’ambito in cui debba essere sviluppata una riflessione ed acceso un confronto che porti a dare le ragioni per la permanenza di una realtà come questa dopo 110 anni di vita.

Se statutariamente i Soci sono gli “Azionisti” del nostro Ente cui ultimamente la sua gestione deve rispondere, va sottolineato che essi sono soprattutto e innanzitutto l’anima che ne definisce l’orientamento culturale e sociale.

Credo sia utile per la nostra comunità ripercorrere la storia dell’Ente perché nelle sue radici troviamo una ricchezza ideale che nel nostro attuale contesto sociale pare spesso affievolita. 

Provo quindi a lanciare a questa platea alcuni spunti di discussione e di confronto che spero possano essere accolti già in questo ambito conviviale per un avvio di discussione che non intende esaurirsi questa sera, ma troverà tempi e modi per allargarsi e approfondirsi.

Per questo inoltrerò tali spunti anche ai Soci che questa sera non hanno potuto essere presenti.

Mi trovo spesso a sfogliare la pubblicazione realizzata in occasione del Centenario della Giovanni XXIII.

Oltre alle foto ingiallite che riprendono i primi bambini accolti dalla nostra scuola ad inizio ‘900, sono sempre impressionato dal racconto di quegli inizi, dalla determinazione di coloro che tale opera hanno fortemente voluto e realizzato. Il contesto sociale ed economico non era certo più favorevole di quanto lo sia oggi, ma questo non è stata obiezione ad un impegno che da alcuni è diventato corale tanto da coinvolgere gran parte della popolazione della nostra cittadina di allora.

Un altro elemento che mi ha colpito è l’apertura d’orizzonte che il Comitato fondatore, sicuramente laico nella sua più nobile accezione, ha dimostrato chiedendo supporto all’Opera Cottolengo di Torino per accudire i bambini dell’asilo, ma anche che questa abbia dato positivo riscontro alla richiesta. Una capacità di incontro e dialogo tra soggetti che pur non condividendo una stessa origine, si sono riconosciuti uniti nella costruzione di un bene comune.

Così il 6 giugno del 1911, 3 suore (2 del Cottolengo cui si aggiunse 1 dell’Ordine di Santa Marta) avviano l’accoglienza di circa 200 bambini della nostra cittadina. Fatta la tara sui concetti di standard dei servizi che per certo nel tempo son mutati, non credo che nell’ingenua baldanza che sicuramente contraddistingueva quelle 3 suore non ci fosse la coscienza di un limite rispetto ad un bisogno tanto grande, ma questo non è certo stata obiezione al loro quotidiano lavoro. Evidentemente c’erano ragioni e certezze per cui, anche quello che era un oggettivo limite, non era obiezione al proprio operare.

Oggi abbiamo certo più risorse per offrire un servizio adeguato alla nostra utenza (abbiamo una quindicina di dipendenti oltre a numerosi volontari che a vario modo sostengono le necessità della scuola) per un numero di bambini che negli anni si è andato riducendo sia per la progressiva realizzazione di nuovi servizi sul territorio destinati all’infanzia, sia per il calo demografico che si sta registrando nel nostro Paese.

Non di meno, anche in questo contesto spesso ci si trova a riconoscere il limite delle nostre capacità nel rispondere ai bisogni che sempre nuovi emergono, e continuamente ci si trova a dover avviare un lavoro per comprendere tali bisogni in un modo più adeguato, impegnando le necessarie risorse umane, professionali, relazionali ed economiche.

La necessità di dare, innanzitutto a se stessi, le ragioni delle proprie azioni e delle proprie scelte, valeva per il Comitato fondatore, per le 3 suore che hanno avviato quest’Opera, ma permane per il Consiglio di Amministrazione che oggi è chiamato a gestire questo Ente, per il personale che quotidianamente è chiamato a prestare la propria opera a scuola, ma deve essere anche nelle preoccupazioni dei Soci della Giovanni XXIII, pena lo svilimento di un’opera educativa a luogo che eroga un puro servizio di accoglienza.

Sul tema dell’educazione ricordo per altro che Papa Francesco ha lanciato un accorato appello e, parlando di “catastrofe educativa”, ha promosso un piano globale per l’educazione, perché l’educazione è la via migliore per umanizzare il mondo (rimando ognuno ad ascoltare il video messaggio del Santo Padre all’apertura del Convegno sul “Global Compact on Education” 15/10/2020).

Ma non è solo in ambiente ecclesiastico che si richiama questa emergenza educativa che non è solo dei Paesi più poveri. Lo stesso Dipartimento per le Politiche della Famiglia ha pubblicato lo scorso dicembre, fors’anche per il richiamo lanciato dal Santo Padre, il Bando “EDUCARE IN COMUNE” con un significativo finanziamento per promuovere l’attuazione di interventi progettuali, anche sperimentali, per il contrasto della povertà educativa e il sostegno delle opportunità culturali, formative ed educative dei minori. Visto che di tali contributi erano beneficiari i Comuni, approfitto per chiedere ai presenti dell’Amministrazione Comunale se qualcosa si sia poi, nei fatti, palesato.

Ma perché ho richiamato questo appello del Papa che, forse complice la pandemia, è stato prontamente accantonato dagli organi di informazione?  Innanzitutto ricordo che la nostra, anche statutariamente, si definisce una scuola di ispirazione cristiana. Ne deriva, a mio avviso, che va capito cosa possa significare oggi questa affermazione e come si coniuga con una preoccupazione educativa che deve orientare l’azione e le scelte del nostro Ente.

Non sono un pedagogista, per cui non mi avventuro in una dissertazione sul tema dell’educazione ma vorrei comunque lanciare anche su questo argomento alcuni spunti di riflessione che nascono dall’osservazione che ho potuto effettuare negli anni in cui ho frequentato questa ed altre realtà educative, oltre che dalla personale esperienza come padre prima e nonno ora.

Se siamo qui presenti, ritengo ci siano dei “fondamentali” che sono riconosciuti e condivisi. Tra questi il fatto che una scuola non può essere “neutra” o “indifferente” e che non sia quindi sufficiente per “attrezzarsi alla vita” ricevere una formazione nozionistica ed abilità tecnico-pratiche. Queste competenze devono essere apprese in modo adeguato ai diversi livelli scolastici, ma è nel metodo con cui sono trasmesse che passa l’esperienza educativa, è attraverso il rapporto tra educatore ed educando che la visione di significato sulla vita e la capacità di affezione giocano un ruolo fondamentale.

Questa dinamica del processo educativo non può essere data per scontata ed acquisita una volta per tutte, ma deve essere, attimo per attimo, rinnovata nel quotidiano rapporto personale, come pure va richiamata e considerata nei momenti di programmazione didattica collegiali. 

Che l’educazione passi attraverso dei rapporti che veicolano capacità di affetto e significato della vita è risultato quanto mai evidente dall’esperienza vissuta nel periodo del lock down. Ciò è particolarmente evidente per la fascia di età dell’infanzia cui il nostro ente specificatamente si rivolge, e da questo si comprende quanto poco possano essere a tal fine significative le esperienza di DAD che pure ci si è prodigati ad attivare nel periodi in cui è stata imposta la chiusura delle scuole. 

Nei giorni scorsi ho avuto modo di dialogare con le insegnati in merito a questi primi giorni di scuola dedicati in particolare all’accoglienza dei nuovi iscritti. Sono rimasto colpito dal racconto della difficoltà di inserimento di bimbi, anche grandi, che hanno vissuto quasi 2 anni di isolamento sociale e con limitati contatti al di fuori della famiglia e con loro coetanei.

Un altro punto di lavoro che rilancio ai Soci è quello sulla revisione dello Statuto nell’ambito delle valutazioni che sono in corso per il passaggio (o meno) del nostro Ente nel Terzo Settore, già comunicato in sede dell’Assemblea Soci del giugno scorso. Anche in questo caso, ritengo opportuno il più ampio confronto e condivisione, innanzitutto con questo ambito, non volendo dare per scontata ed obbligata tale scelta. 

Per ultimo vorrei richiamare il tema della Parità Scolastica, su cui spesso rilevo, anche fra la nostra utenza, una rassegnata  disattenzione. Anche in occasione delle recenti iniziative in proposito promosse da FISM e dalle altre realtà che rappresentano le scuole paritarie nel nostro Paese, l’adesione a sostegno di questa battaglia civile è stata scarsa. Se riteniamo che il contributo educativo delle scuole paritarie  sia non solo utile, ma essenziale per la crescita umana degli individui, non possiamo non arrivare ad affermare e a sostenere un diritto alla parità che sia anche economico. Questo è un lavoro di sensibilizzazione che ritengo possa essere sostenuto anche dai Soci della nostra scuola.

Non mi dilungo oltre visto che questa serata è stata voluta soprattutto per dar spazio ad una reciproca conoscenza, ma mi riprometto di tornare a promuovere specifici momenti di confronto sui temi che ho qui sinteticamente richiamato.

Buon appetito.

Claudio Finotto, presidente

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